LA STORIA
A Castelfiorentino il rapporto con i linguaggi del teatro ha una tradizione ultrasecolare, che ha visto per lungo tempo proprio nel Teatro del Popolo il punto di riferimento, il luogo di elaborazione e la rappresentazione ideale e materiale: dalla inaugurazione nel 1867, tante sono state le vicende di questa struttura culturale dove non si è solo concretizzata la passione per la musica, la lirica, la prosa. Il Teatro del Popolo infatti può davvero essere considerato anche come lo specchio dove si è riflessa l'immagine degli elementi fondanti della cultura e della storia recente di Castelfiorentino, il luogo che ha reso più "civile" l'intera comunità.
Se è vero, come ha scritto Antonio Paolucci, cittadino onorario di Castelfiorentino, che questa comunità "è orgogliosa della sua storia ed è consapevole che non c'è futuro senza memoria", il completo restauro, la "rinascita" del Teatro del Popolo - l'unico teatro ottocentesco del Circondario Empolese Valdelsa, - è l'occasione anche per riflettere sul futuro, per farne un punto di riferimento per la promozione delle nuove generazioni.
La tradizione teatrale di Castelfiorentino risale al Rinascimento e non deve quindi sorprendere se, a metà Ottocento, era sentito "da lungo tempo il desiderio di un teatro decente e proporzionato alla sua popolazione" e si era già tentato "più volte di creare una Società per la gestione di tale opera, resa necessaria dalla segnalata civiltà del Paese", la stessa che aveva incantato nel 1819 Stendhal, di passaggio a Castelfiorentino, meravigliato dalla narrazione da parte dei suo abitanti di novelle e di antiche leggende, e soprattutto da "le grazie del loro ingegno, la cortesia originalissima dei loro modi … paragono quella serata a quella che passai alla Scala", come scriverà in Rome, Naples et Florence.
Così fu ricordato l'avvio dell'impresa che avrebbe dotato Castelfiorentino di un teatro: "Il giorno 21 febbraio 1865 un gruppo di persone quasi prive di mezzi finanziari, ma in compenso ricche di fede nel progresso nazionale e di gagliardo entusiasmo per i fortunosi successi politici-militari del Risorgimento, ideò e decise di erigere il Teatro del Popolo". In realtà accanto al sostegno popolare, che si concretizzò anche in forme di piccolo azionariato, nella "Società promotrice il Teatro" (la quale nel tempo assumerà i nomi di "Accademia Teatrale", "Società degli Operosi", "Accademia Operosi Impazienti") figuravano molti esponenti delle famiglie maggiorenti del paese - Pucci, Del Pela, Vallesi, Masetti, Ciapetti, Niccoli, Brandini - che portarono a compimento i lavori, sul terreno concesso gratuitamente dal Comune.
Particolare del velario dell'arcoscenico
Il Teatro, con pianta a ferro di cavallo, platea e tre ordini di palchi, realizzato su progetto dell'ingegnere Gaetano Niccoli, venne inaugurato il 26 dicembre 1867 con la rappresentazione della Norma di Bellini. Da allora vi si sarebbero succeduti spettacoli di prosa, opere liriche, operette, concerti vocali e strumentali, corali, ma anche l'avanspettacolo ("il varietà" come veniva chiamato), spettacoli di beneficenza, manifestazioni ricreative, politiche, culturali, conferenze, dibattiti, spettacoli di illusionismo e di prestidigitazione … Esso si caratterizzò subito quale "condominio teatrale", in quanto la proprietà veniva ad essere suddivisa tra i vari "palchettisti", una situazione che avrebbe comportato in futuro numerosi problemi sia per la rappresentanza legale, sia per le modalità della gestione, in un intreccio che si sarebbe rivelato alla fine inestricabile. Al teatro vennero affiancati nel 1895 i locali del Circolo ricreativo (poi monarchico), dotati anch'essi di un piccolo teatro, il "Ridotto". Vanto e merito del Teatro fu anche l'aver effettuato, fin dal 1899, proiezioni cinematografiche, per le quali nel 1929 sarà installata una cabina fissa di proiezione. Se alterne furono le vicende del Teatro (nell'ultimo anno della prima guerra mondiale fu requisito dal Genio Militare e destinato a magazzino di foraggi per l'esercito), fin dai primi anni del '900 se ne ipotizzò un completo rinnovo, che se produsse molti progetti poté dirsi realizzato soltanto nel dicembre 1929, con l'intervento dell'architetto futurista Virgilio Marchi, il quale, oltre a migliorare l'acustica, la visibilità, il palcoscenico, rinnovando l'illuminazione, gli arredi e i decori, costruì il loggione: dopo questo intervento il Teatro non ne ebbe altri significativi fino agli anni '60. Nel 1934 il Partito Fascista si appropriava dei locali del Ridotto, divenuti sede della Casa del Fascio.
Una manifestazione del regime fascista (1942)
Il Teatro non subì fortunatamente danni gravi durante la seconda guerra mondiale e il 9 settembre 1943 fu al centro di una memorabile manifestazione popolare di 9000 persone. Mentre la proprietà dei locali del Ridotto, ora sede della Casa del Popolo, veniva avocata dallo Stato (solo nel 1981 il Comune riuscirà ad acquistarlo), già poche settimane dopo la Liberazione, nel settembre 1944, riprendeva l'attività, grazie ad un apposito Comitato costituito dal Comune, al fine di "ridare al popolo quell'educazione morale e artistica che da molti anni gli mancava e rielevare quel dimenticato spirito artistico che tanto lustro ha dato alla nostra Castelfiorentino": il segno della volontà di rinascita, di riscatto, di ricostruzione, di normalità della vita, di pace, venne non casualmente individuato dai nostri concittadini proprio nel Teatro. Dal 1947 iniziò una contrapposizione tra l'Accademia degli Operosi Impazienti (che riuniva i proprietari dei palchi) e il Comune, il quale, pur essendo il socio con il maggior numero di palchi - frutto di donazioni e di acquisizioni - era di fatto impossibilitato ad intervenire nella gestione, essendo irrisolta, per quelle che furono definite "le modalità patriarcali dello Statuto", la questione delle deleghe in sede assembleare, occasione peraltro di una serie interminabile di contenziosi legali, ricorsi, sentenze contrastanti.
Manifestazione davanti al Teatro (1948)
Negli anni '50 e '60 si registrarono i successi delle feste danzanti (memorabili i "veglionissimi" e le "pentolacce", momenti clou della sociabilità castellana) e soprattutto la crescente prevalenza delle proiezioni cinematografiche, al punto che nel 1965 venne allungata la platea, accorciato il palcoscenico, modificati i palchi, proprio per poter disporre di un maggior numero di posti a sedere, con conseguenze negative sull'acustica. All'inizio degli anni '70 si pose, in maniera indifferibile, la questione del ruolo del Comune nei confronti del Teatro e della necessità di disporre, in maniera continuativa, di una struttura che veniva gestita secondo fini, criteri e interessi che risultavano oggettivamente ed inevitabilmente lontani dalla considerazione della cultura come patrimonio imprescindibile della comunità. Si sentì allora più forte di prima l'esigenza di fornire nuove risposte alle cresciute esigenze culturali della comunità, che si concretizzavano anche nel decentramento teatrale promosso dalla Regione, un periodo d'oro per la prosa in Toscana. Al contrario l'attività del Teatro "si limitava quasi esclusivamente alla programmazione di film come un qualunque cinema", mentre sarebbe stato importante "per la cittadinanza ed in particolare per le numerose associazioni culturali e sociali … un diverso sistema di gestione volto a tenere nel debito conto le esigenze di tali organismi nonché quelle del civico ente che svolge un'intensa attività nel campo della cultura, della scuola, della musica, ecc.".
Saggio degli allievi della Scuola Comunale di Musica (1979)
Gli anni '80 furono caratterizzati, da una parte, dal contenzioso che si aprì dopo che il Consiglio Comunale adottò (1982) una delibera con la quale autorizzava il Sindaco ad attivare la procedura per l'esproprio dei palchi di proprietà di privati e il ricorso opposto dall'Accademia, e dall'altra dalla proibizione (1984) di rappresentazioni di spettacoli teatrali, per le gravi carenze riscontrate in materia di sicurezza. Dopo decenni di diatribe, discussioni, litigi, ricorsi, controricorsi, contenziosi, in tre mesi (da dicembre 1989 a marzo 1990) si verificarono tre eventi che segnarono indelebilmente la storia del Teatro: la decisione dell'assemblea dei soci della Accademia di cedere i palchi al Comune; la dichiarazione di inagibilità e la chiusura totale dell'edificio, non sussistendo più garanzie di sicurezza; la decisione del Comune di procedere all'acquisto dei palchi del Teatro, limitando la procedura di esproprio a quelli di cui non si fossero potuti individuare i proprietari. Seguirono anni di lunghe e complesse procedure burocratiche e solo nel maggio 1998 il Prefetto adottò il decreto con il quale veniva "pronunciata l'espropriazione di palchi e parti connesse a favore del Comune", che divenne, anche formalmente, proprietario di tutto il complesso: era l'ultimo atto di una vicenda che aveva segnato e caratterizzato interi decenni non solo della politica culturale ma anche della complessiva azione amministrativa del Comune, tesa ad assicurare alla gestione pubblica e a mettere a disposizione della cittadinanza questa infrastruttura fondamentale per sostenere i vitali processi di crescita culturale della comunità. Lo scopo finale del Comune – il restauro e la riapertura del Teatro - avrebbe conosciuto una strada ancora irta di difficoltà di diversa natura: la prima e fondamentale era il reperimento delle risorse, trattandosi di un'impresa di enorme impegno finanziario per un comune come Castelfiorentino; la seconda fu la individuazione dello strumento giuridico che consentisse prima di effettuare i lavori e poi di gestire in maniera ottimale ed efficace il Teatro, cui nel frattempo, all'interno del "Protocollo d'intesa per l'istituzione del Circondario dell'Empolese Valdelsa", andò il riconoscimento del "valore di struttura di area per la sua unicità", essendo appunto l'unico ottocentesco in tutta la zona. Per il Comune occorreva dunque da una parte ricercare sul territorio fonti di finanziamento e contributi di enti pubblici e privati, dall'altra impegnare ancora di più risorse proprie: la ristrutturazione del Teatro divenne elemento strategico del programma di governo. Un ruolo fondamentale venne assunto dalla Banca di Credito Cooperativo di Cambiano, che prima destinò un notevole contributo per i lavori e poi finanziò i progetti di restauro, riconoscendo nel sostegno alla rinascita del Teatro anche un suo valore fondante - la partecipazione popolare - a testimonianza di un impegno concreto verso la comunità castellana che l'aveva vista nascere nel 1884, con cui condivideva azioni, progetti, realizzazioni, e nella consapevolezza della importate funzione che poteva svolgere per lo sviluppo e il progresso del territorio. Alla fine del 1999 il Consiglio Comunale approvava lo statuto della "Fondazione Teatro del Popolo", il cui socio cofondatore era proprio la Banca di Cambiano. Compito della Fondazione, costituita formalmente nel maggio 2001, quando il Comune concedeva anche il diritto trentennale di usufrutto sull'immobile del Teatro, era di provvedere all'esecuzione dei lavori e alla gestione, avvalendosi, oltre che dei finanziamenti dei soci fondatori, anche di un cospicuo contributo della Regione Toscana.
Nel maggio 2003 il Comune consegnò alla Fondazione l'immobile: finiva la lunga, complessa, faticosa, difficile gestazione della rinascita del Teatro del Popolo, che tornava definitivamente a quella comunità che quasi 150 anni prima l'aveva fortemente voluto. Il 7 luglio 2003 iniziarono i lavori: alla loro conclusione quel "grido di dolore" lanciato da un cittadino con una lettera anonima nel 1947 - "Sindaco rivogliamo il nostro teatro" - sarebbe divenuto realtà.
Nel Teatro del Popolo, luogo di formazione per eccellenza di tante generazioni, non si sono solo rappresentati i momenti più esaltanti della grande passione dei Castellani, ma si è attuata lo loro "educazione sentimentale" per il teatro, il melodramma, la musica, l'arte, insomma per il bello. Se poi con il pensiero si ritorna a tutto ciò che vi si è svolto, il Teatro può davvero essere considerato anche come lo specchio dove si è riflessa l'immagine degli elementi fondanti della cultura e della civiltà di Castelfiorentino, il luogo che ha reso più "civile" la nostra comunità.
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I testi sono elaborazioni redazionali tratte da saggi di: Piero Guicciardini, Marco Magni, Giovanni Parlavecchia, Luigi Zangheri.
Le foto sono di David Bastianoni, Antonio D'Ambrosio, Remo Taviani.